di Bruno Fulco
Ogni descrizione è quasi scontata. L’Amarone fa oramai parte di quel patrimonio culturale che anche i meno avvezzi al contesto enoico, lo identificano come icona della viticultura tricolore nel mondo. Tante le cantine che producono questo gioiello della Valpolicella e alcune di loro si sono riunite nelle “Famiglie dell’Amarone d’Arte”.
L’associazione vede riunite le famiglie Allegrini, Begali, Brigaldera, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Venturini e Zenato rigorosamente in ordine alfabetico e rigorosamente impegnate nel preservare e trasmettere i valori, la tradizione e l’arte, di una produzione dalle origini millenarie. Il seminario organizzato a Roma nel mese di febbraio è stata l’occasione per fare la conoscenza dei rappresentanti dell’Associazione, presenti alla degustazione sapientemente condotta da Paolo Lauciani.
Bellissima esperienza per i partecipanti che insieme alle grandi bottiglie presenti hanno potuto godere anche dell’esperienza dei produttori, presenti in sala e intervenuti durante la degustazione. Dai loro interventi è emerso tutto l’impegno nel custodire le conoscenze frutto del radicamento sul territorio, nell’intento di tenere elevati gli standard come si addice a questo simbolo del made in Italy . La produzione di questo vino implica una viticultura altamente qualitativa, dai terreni scelti alla selezione delle uve, fino al processo di vinificazione vero e proprio, capolavoro di tecnica vitivinicola.
Questo è possibile attraverso l’adesione delle Famiglie dell’Amarone d’Arte ad un regolamento livellato verso l’alto. L’obiettivo è preservare l’immagine di una Docg, che così come avviene anche per altre, in Italia e all’estero troppo spesso è minacciata da prodotti di livello non eccelso, frutto dell’interpretazione dei valori minimi del disciplinare a cui molti produttori si adeguano. Ma un vino con duemila anni di storia come l’Amarone della Valpolicella merita ogni sforzo culturale. Fu il Reticum dell’Imperatore Augusto, dal carattere dolce e ottenuto proprio come adesso attraverso la vendemmia di uve da appassimento tardivo tra autunno e inverno.
Nel medioevo fu l’Aciticum, di cui si trovano tracce negli scritti degli eruditi del tempo. In epoca moderna, l’amarone da dolce si evolve nella versione attuale secca secondo i canoni del gusto attuale, incontrando i favori del mercato mondiale nel 1968 anno di riconoscimento della Doc. Nei secoli è cambiata l’interpretazione del vino ma identica è la modalità produttiva, aiutata dall’evoluzione delle tecniche di vinificazione. I vitigni utilizzati sono Corvina, Corvinone, Rondinella e Oseleta. I grappoli dopo la raccolta vengono lasciati appassire per circa quattro mesi, adagiati sui “graticci” in locali dotati di sistemi di aereazione adeguati detti “fruttai”.
Durante questo periodo le uve subiscono un calo ponderale del 40%, il risultato è un vino di spiccata personalità, struttura nobile e gusto pieno. Sorprende osservare come al palato i 15 – 16 gradi alcolici sviluppati, risultino integrati in perfetta armonia senza dare mai la sensazione di eccesso, ma piuttosto contribuendo a quella sensazione di confortevole robustezza che sprigiona dal bicchiere. Durante la degustazione i produttori hanno introdotto i loro vini spiegandone per ognuno le peculiarità.
Elevato il livello generale degli assaggi a parte alcuni che sembravano chiedere ancora qualche anno di bottiglia per affinarsi pur non tradendo l’elevata qualità. Ottimo L’Amarone della Valpolicella Allegrini, inseme all’AVC Vigneto Sant’Urbano Speri, AVC Selez. Antonio Castagnedi di Tenuta Sant’Antonio, l’AVC Tommasi, AVC Campomasua di Venturini e l’AVC Zenato. A margine della degustazione tra i banchi d’assaggio, è stato anche possibile approfondire la conoscenza con gli altri vini delle Aziende dell’Associazione.
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