di Bruno Fulco
E’ un bel periodo per il comparto vitivinicolo italiano: alla grancassa dell’Expo, che con tutti i suoi limiti ha rafforzato l’immagine dell’enogastronomia italiana nel mondo come valore, si aggiungono gli echi della stampa che riportano del sorpasso operato dalla viticultura italiana su quella francese, ammessa dagli stessi cugini d’oltralpe. Sebbene sia un dato interpretabile, sicuramente da sviscerare al meglio per proseguire sulla strada della crescita, è senza dubbio un bel segnale per tutti gli operatori italiani. La viticultura italiana, sempre più multiforme e distintiva, affina nel tempo la sua identità poliedrica, capace di esprimere il valore del singolo territorio in seno al suo bagaglio culturale. Tanto che oggi, attribuire al nostro vino la semplice menzione di “Italiano” è diventato altamente riduttivo. La recente degustazione presso la sede dell’Ais di Roma ne è un chiaro esempio. Il Consorzio Vini Alto Adige ha mostrato nell’occasione le sue peculiarità, riuscendo a trasmettere una precisa immagine di se.
Zona dedita alla viticultura sin da V secolo a.C. vede il suo sviluppo grazie alla preziosa attività operata nel medioevo dai monasteri, fino al boom degli anni ’80 che afferma in maniera definitiva il valore dei vini altoatesini. Le bellezze paesaggistiche del territorio, trovano corrispondenza nella particolarità dei vini ed hanno con loro una diretta relazione. La varietà morfologica del terreno insieme alla diversità della sua composizione, generano una varietà di microclimi diversi che regalano ai vini della singola vigna un proprio profilo definito. La zona di produzione si distende lungo 70 chilometri circa suddividendosi principalmente in 7 aree vitivinicole: Bassa Atesina, Oltradige, Bolzano, Valle dell’Adige, Merano, Valle Isarco, Val Venosta. Sono 20 i vitigni che compongono il vigneto altoatesino, ma è sulle 3 varietà di punta tra i bianchi che il Consorzio Vini Alto Adige ha centrato la degustazione.
Il Pinot bianco: introdotto nella regione nel 1852 dalla nobiltà austriaca, ha subito espresso il meglio di se regalando vini dal bouquet olfattivo sempre fine ed elegante, giocato principalmente su richiami di frutta a polpa bianca. Adatto nelle sue declinazioni agli impieghi più diversi, è ideale come aperitivo. E’ il caso dell’ “Eich” 2014 della Cantina Kornell, dotato di una grandissima freschezza che lo rende estremamente piacevole. Ottimo anche “Athesis” il 2013 di Cantina Kettmeir, vinificato in parte in grandi botti da 12 hl che smorzano gradevolmente l’acidità aumentandone le possibilità di impiego a pasto. Conferme per il “Sanct Valentin” 2013 della Cantina San Michele Appiano e per il ”Vorberg” riserva 2012 di Cantina Terlano, tra i Pinot Bianco Altoatesini più apprezzati dai cultori del vitigno.
Il Sauvignon Blanc: importato dal territorio francese verso la fine dell’ottocento è uno dei vitigni più importanti del mondo a bacca bianca. A seconda del metodo di vinificazione prescelto, può tradursi sia in vini dal semplice approccio e dalla bevibilità immediata, sia in produzioni dotate di struttura più solida, adatte ad impieghi più impegnativi in abbinamento alle carni bianche e con il pesce. Dal bouquet olfattivo che va dall’erbaceo dell’ortica al fruttato, in varie declinazioni fino all’agrume. Nella batteria presentata in degustazione ho apprezzato particolarmente il “Sauvignon 2014” di Abbazia di Novacella e il “Turmhof 2014” di Tiefenbrunner. Il primo vinificato in solo acciaio dall’approccio semplice e bella acidità, il secondo vinificato metà in acciaio e metà in legno grande, perfettamente integrato e che aggiunge una carezza al gusto del vino senza appesantirlo inutilmente.
Il Gewurztraminer: il suo nome tradisce le origini proprie della località di Termeno. La documentazione storica parla di una sua diffusione sin dal ‘200, anche se poi per un lungo periodo è caduto un po’ nel dimenticatoio. Recuperato alle grandi produzioni negli ultimi anni, sembra incontrare il favore soprattutto del pubblico femminile e di chi si approccia al mondo del vino, forse a causa della sua forte aromaticità . Il ricco bouquet olfattivo tipico del vitigno, contempla sfumature che vanno dai fiori alla frutta spesso tropicale. Il lici è uno dei suoi marcatori più comuni. Spesso molto alcolico, vista la sua esuberanza gustativa trova difficilmente spazio nella normale struttura di un pasto, risultando più idoneo per l’aperitivo o al limite per un piatto di crostacei. Nella selezione proposta ho trovato molto gradevole il “ Praepositus 2013” dell’Abbazia di Novacella, prodotto in Valle Isarco e vinificato in solo acciaio.
L’appuntamento ha mostrato un Alto Adige in ottima forma sotto tutti gli aspetti. Oltre agli ottimi vini prodotti, da sottolineare la capacità del consorzio di gestire al meglio la distribuzione e soprattutto la comunicazione, cosa che ne fa veramente un esempio da seguire per molte regioni e territori. Soprattutto per quelli che nei prossimi anni aspirano a fare il definitivo salto di qualità sul panorama nazionale e non, come il Lazio ad esempio.
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