di Bruno Fulco
Quando si parla di Sangiovese il pensiero in automatico va alla Toscana, ma anche in Romagna il “Vigna del Generale” della famiglia Nicolucci riesce a esprimersi al meglio sgombrando il campo dall’eventualità del dubbio. Che il Sangiovese anche qui sia di casa lo testimoniano numerosi documenti a far data dall’anno mille, in cui la presenza del vitigno è registrata come elemento protagonista dell’economia agricola locale. Gli statuti comunali di allora, riportano la divisione delle numerose vigne tra i vignaioli delle diverse Signorie feudatarie. Estremamente versatile a seconda di come viene lavorato, da questo vitigno si ottengono sia vini di facile impatto che destinati all’invecchiamento. Peccato che in era moderna, troppo spesso il flusso turistico abbia indirizzato le produzioni verso rese massimali.
Non sono però mancate le espressioni di alto livello qualitativo come quella rappresentata dalla famiglia Nicolucci, che incrocia i suoi destini con quest’uva intorno al 1885 in quel di Predappio alta. Oggi giunta alla quarta generazione di vignaioli, l’esperienza maturata in oltre un secolo di produzioni si raccoglie nell’entusiasmo di Alessandro, che conduce Fattoria Nicolucci anche dal punto di vista tecnico. I numeri ben lontani da quelli delle produzioni industriali sono tipici dell’Azienda vitivinicola a conduzione familiare. Senza nessun effetto speciale in cantina i vini riflettono la centralità dei vigneti, datati tra i 20 e i 90 anni e in armonia col microclima e la tradizione locale per il Sangiovese, cardini su cui da sempre si fonda la filosofia aziendale della famiglia.
Predappio è separato della toscana soltanto dall’appennino ed il continuum si materializza nel bicchiere, dove il Sangiovese pur interpretando le sue caratteristiche in maniera diversa regala vini di grande qualità. “I Mandorli” e “Tre Rocche” assaggiati nell’annata 2015, sono i due Sangiovese d’ingresso entrambi Doc e vinificati in purezza, dalle caratteristiche note fragranti tipiche del vitigno, col tannino presente ma composto che invita ad accompagnare piatti semplici come la salumeria ed i primi della cucina Romagnola. Nel Tre Rocche al naso si aggiungono già lievi note balsamiche e di spezie dolci e aumenta la persistenza gustativa. Nel “Nero di Predappio” annata 2013, Il Sangiovese si fa comprimario al 40% affiancando il Terrano, altrove chiamato Refosco. Vinificato con attento uso del legno sviluppa una maggiore complessità che sopra il frutto concede più campo alle spezie e alle note balsamiche quasi mentolate.
Ma il nome del vino non tragga in inganno, come spiega Alessandro Nicolucci nessun riferimento ai natali di alcun personaggio storico, ma solo alla tradizione dei contadini locali per i quali “il più nero di Predappio” erano le uve raccolte nella parte più elevata dei vigneti, così chiamate per le loro capacità di maturazione. E’ però il “Predappio di Predappio” Sangiovese Doc Riserva Vigna del Generale, l’orgoglio più grande di Fattoria Nicolucci. Premiato ripetutamente dalle maggiori Guide Italiane è vino dai profumi eleganti, dal sottobosco all’aroma di cioccolato fino al tabacco dolce da pipa. Anche se di struttura ha un gusto morbido, che si allunga nella persistenza su note minerali di grafite e certamente si trova a suo agio con la carni rosse. In questa bottiglia è raccolta un po’ la storia della famiglia. L’etichetta è originale mai cambiata in 40 anni, racconta di una vigna ormai 90enne di proprietà di un generale che aveva un amico particolare, un lupo ghiotto d’uva che si aggirava per la vigna macchiandosi il manto di rosso.
Il primo dei Nicolucci ad occuparsi di vino era al servizio di questo generale che segui anche in guerra. Durante il conflitto, il generale gli promise che se avessero fatto ritorno a casa salvi si sarebbe ritirato e gli avrebbe donato la vigna. Così fu, ed ancora il lupo rosso campeggia in bella vista sull’etichetta, ululando alla luna per ricordarci quanto della nostra storia c’è dentro una bottiglia di vino.
fonte www.culturamente.it
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