di Bruno Fulco
L’ormai tradizionale appuntamento con la “Giornata Nazionale della Cultura del Vino e dell’Olio“, organizzato dall’Ais, è andato in scena anche quest’anno nelle diverse sedi sparse sul territorio nazionale. Per la delegazione di Roma è stata la cornice dello Sheraton Golf Hotel ad ospitare l’evento e come sempre, l’elevato numero di presenze, ne ha evidenziato il gradimento da parte del pubblico. Molti i produttori che hanno voluto essere presenti con i loro vini e i loro oli, fornendo l’occasione per prendere atto di come viticultura e olivicoltura nel Lazio proseguano la marcia verso il raggiungimento di una qualità per troppo tempo non perseguita, specialmente nei vini.
Un percorso forse a volte un po’ a strappi, ma che sembra finalmente aver avviato il volano della crescita verso una velocità di crociera che stavolta sembra essere proprio quella giusta. Finalmente i valori che ispiravano il settore sembrano essersi capovolti a tutto discapito della quantità, oramai abbandonata in virtù della ricerca del meglio che il vigneto Laziale è in grado di esprimere. In fondo non poteva essere altrimenti: suoli spesso vulcanici o di qualità, l’influenza del mare e le discrete escursioni termiche, donano al Lazio un potenziale così evidente da non poter rimanere celato per sempre.
Lo dimostra l’attenzione che gli investitori stranieri stanno pian piano rivolgendo a questo territorio e in precedenza catalizzate esclusivamente da Toscana e Piemonte, riconoscendone le caratteristiche per esprimere finalmente vini di spessore e personalità. La strada è ancora lunga certo, ma le scelte produttive delle aziende presenti dimostrano come il percorso da fare sia oramai individuato in maniera netta. Oltre che sugli impianti e sulle rese del vigneto, si è lavorato negli anni anche sulle varietà dei vitigni coltivati. Di fianco agli internazionali si assiste alla riscoperta degli autoctoni. La Malvasia di Candia pian piano cede il passo alla Malvasia del Lazio o Puntinata, di resa minore e più delicata della prima dal punto di vista della gestione in vigneto a causa della sua maggior predisposizione alle malattie, ma di contro in grado di concentrare maggiormente zuccheri e profumi.
Diverse le Aziende che investendo nella tradizione si sono impegnate nella salvaguardia di varietà oramai sull’orlo dell’estinzione, facendo opera di restaurazione vitivinicola vera e propria. Grazie a questo lavoro è stato possibile riscoprire vitigni come il Maturano o il Pampanaro, scovato dall’Azienda “Poggio alla Meta” nei vigneti semi abbandonati, spesso cogliendo le indicazioni della tradizione orale dai vecchi contadini locali e che, reimpiantato da pochi anni, da già indicazioni interessanti pur essendo ancor giovane la vigna. Oppure l’Ottonese che l’Azienda Agricola Proietti utilizza oramai abitualmente da anni. Tra le Aziende intervenute è stato un piacere ritrovare la “Tenuta di Fiorano” con la sua storia affascinante, ma anche i vini di “Marco Carpineti” che del biologico ha fatto la sua bandiera, così come quelli di “Donato Giangirolami” e insieme a loro gli ottimi vini di “Paolo e Noemia D’Amico”, ma questo solo per fare qualche nome.
Una menzione a parte merita l’Azienda “San Giovenale”, che produce “Habemus”, vino singolare, che nella sua identità incarna nel miglior modo possibile il concetto di interpretazione del territorio e anche per questo premiato con le 4 viti Ais nella guida 2015. L’attenta analisi delle caratteristiche del terreno ne ha rilevato l’affinità con il Rodano Francese, suggerendo all’Azienda l’impianto delle varietà grenache, syrah e carignan tipiche della zona d’oltralpe. Il risultato è stato sorprendente: Habemus è oggi un vino di eleganza sopraffina, frutto di scelte coraggiose e non scontate che si colloca sicuramente sul podio tra i rossi del Lazio.
A proposito di rossi, la giornata si è conclusa con il seminario sul Cesanese, in grande crescita qualitativa negli ultimi anni con i comuni di Olevano, Affile e Piglio, che hanno presentato diverse aziende. Diversi i produttori intervenuti, dall’Azienda Agricola “Terenzi” a “Damiano Ciolli” premiato anch’esso dall’Ais con le 4 viti per il suo “Cirsium”, ma anche “Azienda Agricola Proietti” tra i migliori produttori nella zona di Olevano. Era anche la giornata dell’olio che ha confermato l’ottimo trend delle cultivar Laziali, capaci di riscuotere successi anche all’estero. E il caso dell’ Olio “Tamìa Gold” l’extravergine DOP dell’Azienda Agricola Sergio Delle Monache, un vero fuoriclasse direttamente dalla Tuscia Viterbese che si è riconfermato “Campione del mondo” anche per il 2015, bissando a Los Angeles l’ambito premio conquistato l’anno prima a New York. Grandissimo olio di produzione Bio da cultivar leccino 50%, frantoio 40% e maurino 10%. A fine giornata rimane la consapevolezza di una regione negli anni spesso criticata, ma che sta dimostrando di poter recitare il suo ruolo tra i prodotti dell’eccellenza enogastronomica italiana.
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