Il passaggio è rapido, talmente veloce da risultare quasi inaspettato: un momento sei sul Lungotevere, nel pieno caos cittadino; poi Sali pochi gradini e ti ritrovi catapultato in un’altra epoca, cento anni addietro, tra colonne, quadri, stucchi e marmi rosa. Villa Laetitia, la splendida villa in stile Liberty di proprietà di Anna Fendi Venturini, “ospita” il ristorante stellato Enoteca La Torre, guidato in cucina dal 2016 dallo chef Domenico Stile, il più giovane nella capitale ad avere sulla giacca il riconoscimento della guida Michelin. Villa Laetitia è uno di quei luoghi affascinanti da bloccare il respiro: ogni sala è un concentrato di storia, ovunque affreschi, mobili d’epoca, tonalità che richiamano i gusti di epoche passate e contraddistinte da innovazione nel design (per quel periodo).
La sala principale che ospita i circa 30 coperti è dominata da una magnifica vetrata che di giorno regala una luce intensa e regale, mentre nel corso del servizio serale consente di ammirare la suggestione di sfumature del cielo romano. Ed in questi spazi un gruppo di giovani porta avanti una filosofia enogastronomica basata su territorialità e competenza, un riuscito mix di professionalità che contribuiscono singolarmente all’eccellente risultato complessivo. L’affascinante bancone per i cocktail ci introduce nello spazio adibito a ristorante, nel quale la mise en place dei tavoli evidenza grande ricerca per quel che concerne ogni singolo dettaglio. Lo chef Stile ha iniziato a lavorare in cucina a soli 15 anni, e questo giustifica l’incredibile curriculum che può vantare a 28 anni: Vissani, Bottura, Crippa, Di Costanzo ed anche una esperienza da Alinea a Chicago. In sala Rudy Travagli, il sommelier dalle prestigiose esperienze (Enoteca Pinchiorri e The Fat Duck tra le altre), è un perfetto padrone di casa che spiega le varie portate e racconta i vini in abbinamento, tra i quali uno Champagne Delamotte Brut realizzato appositamente per Villa Laetitia.
Il pranzo è aperto dal benvenuto dello chef, una serie di interessanti bocconi, veri e propri concentrati di sapore: Aspic di pesce azzurro e guacamole, Finto peperone capperi e acciughe, Pasta soffiata alla carbonara, Rocher di blu di bufala e dolcesalato di nocciole, Spugna di focaccia croccante con maionese al pistacchio e Mozzarella in carrozza con chutney di pomodoro del pignolo. Sin dalle prime battute i piatti mettono in evidenza una particolare caratteristica di chef Stile, la capacità di ideare e preparare portate estremamente equilibrato sotto ogni punto di vista, sapore, sapidità, consistenza, cottura. Il primo antipasto, il Tonno rosso, barbabietola, yogurt greco, levistico e radici fermentate accompagnato da un brodo di rapa arrosto e katshoubushi, è il primo punto di svolta di questa esperienza gastronomica: presentazione impeccabile, sapore delicato oltre ogni immaginazione, una inaspettata carezza per il palato. Ottimi anche i Gamberi rossi al cardamomo, stracciatella, caviale, agrumi e crocchette alla menta, e da me particolarmente apprezzato il Merluzzo mediterraneo, zucca alla scapece, acqua di provola affumicata e radicchio, per l’ineccepibile cottura del pesce e per la presenza dell’acqua di provola, elemento che richiama le origini dello chef (e le mie) e contribuisce a rendere unico il piatto.
Delicatezza ed equilibro, senza mai perdere di vista il carattere, sono presenti anche nei primi, il Riso di semola all’amatriciana, seppia affumicata alla diavola e aceto balsamico (molto buono), l’interessante Risotto al limone di Amalfi, tartufi di mare, asparagi e yogurt di bufala, per realizzare il quale il limone viene trattato in modo molto particolare, per un risultato finale che elimina la parte aspra ed acida lasciando intatto l’aroma del prodotto, e lo Spaghetto al ragù di pesci di scoglio, bergamotto, patata acidula e nduja, cotto in maniera impeccabile. Nei secondi la protagonista è la carne, con l’Agnello alla Villeroy e l’Anatra alla brace profumata al coriandolo, crocchetta di interiora, chutney di finocchio e arance sanguinelle, piatti confortanti, che abbinano alla “sostanza” delle carni un riuscito connubio di aromi e salse che donano effetto cromatico e gustativo. Il percorso dei vini prosegue con il Cervaro della Sala 2015 ed un incredibile Chianti classico La Casuccia Castello di Ama 1994. La chiusura è naturalmente affidata ai dessert, ed in questo caso lo chef ci propone il Sandwich di caffè caramellato, creme brulèe ai fiori di sambuco, spuma di tabacco gel di liquirizia e gelato al liquore di sambuco, un dolce gustoso, morbido, intenso e la freschissima Crostatina meringata al limone, tamarindo e Wasabi.
Tre ore (circa) trascorse lungo un percorso di grande impatto, coerente, di sostanza ma sempre in equilibrio, piatti rotondi e mai spigolosi, abbinamenti studiati, figli di uno chef che ha integrato le proprie esperienze per dar vita ad una cucina che omaggia il territorio in chiave molto personale, ragionata ma istintiva, esplicita ed intima al tempo stesso.
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