E’ arrivato in Italia a 16 anni, ed a 19 ha iniziato a lavorare come lavapiatti, girando tra Cortina e la Toscana. Poi l’incontro con uno chef che lo ha “avvicinato” ai fornelli, è da lì parte la sua storia. Appassionato, lucido, disponibile, preparato: Roy Caceres è tutto questo e molto di più, ed ascoltarlo alla Città del Gusto, nell’ambito degli incontri “Culinary Talks” organizzati da Cibando, è stato davvero piacevole.
La Locanda Solarola come vera e propria scuola e trampolino di lancio, l’arrivo a Roma con Pipero, l’apertura di Metamorfosi nel 2010. Il cammino di Roy è stato particolare, intenso, in continua evoluzione. Sentirlo parlare è estremamente interessante. Si inizia con alcune constatazioni di natura economica (“La ristorazione di alto livello, spesso, dal punto di vista economico non è redditizia, si fa per passione“), da coniugare con le necessità “artistiche” (“Prima di tutto tengo alla libertà creativa, ma con un occhio al food-cost“).
L’importanza della comunicazione (“E’ importante far conoscere il proprio lavoro“) e la differenza tra guide cartacee e web (“La guida è importante ma lenta perchè rinnovata una sola volta all’anno mentre il web è più immediato, nel bene e nel male“). L’apprezzamento quale molla necessaria per continuare con determinazione il proprio lavoro (“Mi sono costruito personalmente una rete di amicizie e relazioni con operatori del settore per far conoscere i miei piatti“).
Roy non ha le basi della cucina tradizionale italiana, ma forse proprio questo gli ha permesso di creare senza paletti, senza reticenze. E’ praticamente un’autodidatta, da ragazzo si addormentatava stanco, dopo il lavoro, circondato da decine di libri. Cura ogni dettaglio, tiene molto ai particolari, è convinto che un piatto debba essere trasmesso già dal personale di sala, prima ancora dell’assaggio.
Ha ribadito l’importanza di manifestazioni come il Taste, che gli ha permesso di far conoscere i suoi piatti a molte persone, ritiene positiva la presenza di più chef stellati a Roma per far crescere la cultura della ristorazione nella gente. Parlando nello specifico del lavoro nella cucina, Roy ha affermato che “la tecnica a suo avviso deve supportare la materia, la passione, l’ispirazione personale“. Non è importante la tecnica utilizzata ma l’emozione che si trasmette. I piatti devono avere un impatto sensoriale, tutto è importante, dal gusto alla presentazione.
Il suo obiettivo futuro è trasmettere la cucina di Metamorfosi anche all’estero, ed ha indicato Londra quale città ideale per il suo modo di concepire i piatti. Piatti che nascono da un costante confronto con la brigata. La conclusione della chiacchierata riprende uno dei punti di partenza, quello relativo al legame con la cucina della tradizione (“La tradizione è un’innovazione ben riuscita“).
L’incontro, almeno per me, ha confermato quanto di buono avevo letto sul Roy Caceres uomo, e creato ancor più curiosità verso i suoi piatti. Credo che, appena possibile, mi regalerò un’esperienza “sensoriale” da Metamorfosi.
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