di Bruno Fulco
Esplorazione vera e propria quella che, grazie al consorzio, ha consentito di indagare in lungo e in largo le prerogative e le sfumature di una viticultura sparsa su tutto il territorio Pugliese. Il viaggio tra le cantine dominato dalla moltitudine di vigneti e oliveti ha mostrato le diverse realtà, che compongono il mondo vitivinicolo regionale. A cucirle assieme il ricamo dei muretti a secco a perdita d’occhio, testimonianza indelebile della stretta relazione tra l’uomo e il suo ambiente.
Si parte dalla Cantina Sampietrana oggi nel centro di San Pietro Vernotico (Br), paese che negli anni si è sviluppato intorno. Nata nel 1952 ha assistito alla meccanizzazione agricola, grazie al quale è stato possibile coltivare gli enormi territori concessi dai latifondisti alle cooperative contadine. Situata a ridosso della ferrovia, nel passato unico collegamento con il nord, l’impianto originariamente di 4.000 mq si è raddoppiato in estensione. La necessaria trasformazione tecnologica non ne ha minato l’anima e lo spirito cooperativo, come testimoniano gli stupendi fermentatori in cemento rivetrificati. Gli attuali 100 soci conferitori coltivano i 190 ettari di vigneto. L’alberello pugliese produce le varietà tradizionali quali Negramaro, Primitivo e Malvasia, mentre nei vigneti più recenti trovano spazio anche le varietà internazionali. I vini presenti in tutti i principali mercati di riferimento, sono distribuiti su diverse linee di produzione. Tra questi si distinguono il “Vigna delle Monache” Salice Salentino Doc Riserva da uve Negramaro, vino potente ma dotato di morbidezza accattivante, che accompagna alla frutta rossa e matura note di tabacco e un annuncio di esotica spezia dolce. Adatto a piatti complessi e di struttura così come il “Since 1952” Brindisi Doc Riserva, in cui al Negramaro si aggiunge un saldo di Montepulciano che ne aumenta l’eleganza del bouquet olfattivo, la frutta rossa si fa più piccola e trovano spazio anche note di viola e pepe nero.
Non molto distante, la seconda tappa prevede la visita alla Cantina Leone de Castris in quel di Salice Salentino (LE). L’azienda avviata tre secoli fa è rappresentativa dell’intera storia della viticultura italiana. Le origini si rintracciano nel 1665, mentre i primi anni dell’800 registrano già le prime attività di export di vino sfuso verso gli Usa e l’Europa. E’ nel 1925 che la Cantina inizia ad imbottigliare i propri prodotti con Piero e Lisetta Leone de Castris, “Donna Lisa” figura fondamentale nella storia dell’azienda. Sul finire del secondo conflitto mondiale accade l’episodio al quale l’azienda è più legata. Gli alleati richiesero un forte quantitativo di vino rosato a patto che lo stesso avesse un nome americano, così le uve provenienti da un feudo chiamato Cinque Rose diedero vita immediatamente al “Five Roses”. Primo rosato imbottigliato e commercializzato in Italia, ancora oggi è il biglietto da visita dell’azienda in tutti i principali mercati mondiali. Dal ’54 imbottigliano il Salice Leone de Castris aprendo la strada all’istituzione della Doc locale. Visita consigliata ad ogni appassionato sin dall’inizio, nella sala in cui vengono accolti gli ospiti dominata dal ritratto di Donna Lisa e da ogni sorta di oggetti, bottiglie storiche e mobilio d’epoca, ricordi di altrettanti momenti importanti della storia aziendale. Attraversando la cantina di vinificazione con la sua bottaia, si accede ad un vero e proprio museo che attraverso le foto, i macchinari, le bottiglie premiate e quant’altro, ricostruisce il percorso della Cantina nel tempo. Diversi i vini degustati prodotti di un vigneto che affianca autoctoni a varietà internazionali. Piacevole la versione in metodo classico del Five Roses nel suo bell’abito ramato, dal gusto intenso ma delicato. Bollicina brut non aggressiva da uve Negramaro, giocata sui piccoli frutti di bosco e sul delicato floreale della rosa con un lievissimo accento finale che richiama la frutta secca. E’ la Verdeca a rappresentare i bianchi nella base ampelografica locale vinificata nel “Messapia”. Scattante di freschezza, regala nel facile impatto gustativo sentori di frutta indirizzate all’agrume e alle erbe di campo, insistendo sulla piacevole sapidità. Tra i Rossi sono le Riserve a farsi notare. Il “Donna Lisa Rosso” Salice Salentino Doc. Uve Negramaro prodotte da una vigna di 70 anni con piccolo saldo di Malvasia di Lecce, vino austero piccoli frutti rossi spezie delicate e la tostatura del tabacco Kentucky si distinguono nella complessità del bouquet. Chiude il “Salice Salentino Doc” simile bland ma diverso uso del legno, dal tannino presente ma delicato, ciliegia carnosa, pepe bianco e nota balsamica. Morbido e potente, come il precedente pretende piatti di grande struttura meglio se arrosti, brasati e stracotti.
Messi un altro po’ di chilometri alle spalle e la volta di Tenute Rubino (Br). Realtà voluta fortemente dal suo presidente Luigi Rubino che nel 2000 ha iniziato lo sviluppo dell’Azienda vitivinicola, ad oggi distribuita su 200 ettari vitati su quattro differenti tenute. Uno dei fondamenti aziendali è senza dubbio il territorio ed il recupero della sua cultura. Comunicarne i valori attraverso un programma di attività, volte a creare la percezione culturale di riferimento all’interno del quali interpretare i vini pugliesi. La Vendemmia delle Donne è forse il più importante di questi appuntamenti. La visita alla cantina rivela un impianto tecnologicamente avanzato, che assicura elevati standard in ogni fase produttiva. La degustazione dei vini è condotta dallo stesso Luigi Rubino in veste anche di Presidente del Consorzio. Non si impiega molto nello scoprire che nell’ampia base ampelografica aziendale, è il “Susumaniello” il pupillo di Luigi Rubino. Vero e proprio figlio prediletto coltivato nella tenuta di Jaddico, dove è stata fatta un’opera di recupero da piante di 75 anni per questo autoctono a bacca nera probabilmente destinato all’oblio. Il suo nome deriva dall’abbondanza nelle produzioni dei primi anni, tale da caricare il somarello. Viene vinificato in diversi modi, tra cui il Torre Testa rosè e il rosato metodo classico brut “Sumaré”, bollicine di piccola frutta rossa in una sfumatura di lieviti, elegante e fresco. Ottimo come aperitivo ma ideale con fritture di mare o sughi di pesce. Tra le versioni in rosso “Oltremè” vino di impatto immediato dal frutto rosso a tratti maturo, tannino composto e l’impronta salina dovuta alla ridotta distanza dal mare, si presta a diverse possibilità di abbinamento. L’opposto del “Visellio” Primitivo potente, dal bouquet che si distende oltre le note della frutta matura fino alla spezie dolci ed orientali e al potpourri di fiori rossi. Caldo, intenso e persistente esige portate di solida struttura, meglio se carne in tagli importanti.
La seconda giornata di visite, non prima di una cospicua razione di chilometri, prevede l’incontro con Matteo Santoiemma, Direttore di Ognissole nella splendida tenuta di Cefalicchio (BT), una realtà di 150 ettari che insieme alla tenuta Sava compone il vigneto aziendale. Questa in particolare è la casa del Nero di Troia, terzo tra gli autoctoni pugliesi per diffusione e a cui sono dedicati 27 ettari. Sovrastato dallo strapotere di Primitivo e Negramaro è stato a lungo tralasciato ma per fortuna, in questi anni ha riguadagnato l’attenzione di alcuni produttori intenzionati a svilupparne le potenzialità. La strada scelta a Cefalicchio è quella della certificazione biodinamica. Sperimentando continuamente maturazioni in vigna e tempi di raccolta, si esplora fino a che punto questo vitigno sia in grado di esprimersi, utilizzando solo lieviti indigeni e ricorrendo al minimo uso di solfiti. Nel vigneto viene fatta prevalentemente opera di restauro, provvedendo all’autoproduzione del materiale necessario alla sostituzione delle piante vecchie, in una sorta di rigenerazione perenne. Nella splendida ex masseria convertita nel 1700 in stile Palladiano, un vero e proprio pranzo contadino accompagna la degustazione. La cucina una volta povera è oggi diventata di qualità assoluta, imperniata su alimenti di livello eccezionale dai formaggi alle verdure, dalle carni alla salumeria. Si inizia da “Mirante” Rosato da uve Primitivo il cui colore ramato è dovuto alla sola spremitura, in cui vengono impiegati solo lieviti neutri per preservare gli aromi varietali del vitigno. Delicato nel bouquet floreale, con accenno fruttato è piacevole al sorso, di buona acidità ed adatto dall’aperitivo al pesce. E la volta di “Jalal” un Moscato bianco di buona aromaticità, in cui miele, agrume, erbe aromatiche e fiori bianchi si distinguono in una cornice di buona acidità. Da abbinare agli antipasti di pesce, ai crudi e ai crostacei. Il Nero di Troia invece diventa “Romanico”. Profumi di tabacco, legno e spezie le principali coordinate olfattive. Un accenno al minerale, tannico ma composto e piacevolmente persistente, è la carne rossa la sua ragion d’essere.
Rotta verso Acquaviva delle Fonti (Ba) e più precisamente nella cantina di degustazione di Nicola Chiaromonte, proprietario dell’azienda omonima e personaggio eclettico che trasmette energia alla sola presenza. I suoi splendidi vini sembrano esserne la trasposizione enoica e nascono nei 32 ettari coltivati a Primitivo e ulivo. Erede della tradizione vinicola tramandata in famiglia dal 1826, ne conserva i valori principali reinterpretandoli nella sperimentazione in vigna, coltivata a biologico, nelle vinificazioni e nell’uso del legno, diversificato per essenza, età e tipologia. Tempo inequivocabilmente ben speso visto quello che i suoi vini restituiscono al bicchiere. La degustazione rivela come un tutt’uno il vino e il suo produttore, forza e carattere che non ostacolano il passo all’eleganza. Tra i molti provati si collocano su un gradino superiore il Primitivo Gioia del Colle Doc “Chiaromonte Riserva” caldo avvolgente frutta matura e nota balsamica, arbusti marini e spezie. L’altro della stessa Doc è il “Muro S’Antangelo Contrada Barbatto” vino che nasce da un vecchio cru, a cui basta la sola vinificazione in acciaio per regalare eleganza al bouquet. La frutta rossa si fa più carnosa e le spezie più dolci. Accenno di cioccolata e morbidezza. L’alcol non è un limite ma solamente un invito ad impiegarlo con piatti di una certa importanza. Vini che si ricordano. L’ultima giornata di visite prevede l’appuntamento con Cantina San Marzano (Ta) realtà tra le più grandi del panorama Pugliese, un esempio di come vanno gestiti i grandi numeri nel mondo del vino. Nata nel 1962 la Cooperativa si rifonda nel 1982, attualmente diretta dal Presidente Francesco Cavallo, conta su 1200 soci conferitori per un vigneto di 1600 ettari che fornisce circa 150.000 q.li di uva. Sono 6.000 mila i mq. coperti su un totale di 50.000. Numeri che potrebbero scoraggiare chi è alla ricerca della qualità, invece è proprio su questa che la cooperativa ha puntato. I dieci milioni di bottiglie prodotte, sono distribuite nelle linee destinate ai diversi canali di mercato raggiungendo gli scaffali di 70 paesi al mondo. Tutto è reso possibile dall’attenta selezione delle uve da destinare alle diverse fasce produttive, grazie ad un impianto che totalmente ristrutturato nel 2000 ed ulteriormente ampliato appena due anni fa è in grado di lavorare 500 q.li di vino l’ora, utilizzando anche l’abbattimento di temperatura per preservare gli aromi delle uve. Il volume delle uve lavorate impone un controllo di qualità maniacale in ogni fase della lavorazione, consentendo di individuare la provenienza delle uve di ogni singola bottiglia. Nell’ampia degustazione presentata da Luca Maruffa ritroviamo la Verdeca “Talò” qui interpretata in maniera differente, con seconda parte della fermentazione e affinamento di tre mesi in barrique. Floreale con accenni minerali e di erbe aromatiche, pur mantenendo una buona freschezza, acquisisce una nota di morbida vaniglia rispetto alla precedente vinificazione in solo acciaio. Tra i rossi si distinguono il “Sessantanni” Primitivo di Manduria Dop, che deve il suo nome all’età delle vigne ad alberello da cui provengono i grappoli del peso di 400 gr circa, a volte anche uno solo per pianta. Vino prezioso, vinificato in barrique di media tostatura per preservarne i sentori varietali. Il frutto maturo e la nota balsamica iniziale, lasciano spazio a spezie orientali e note di cacao, il tannino è forte ma garbato sul palato che si apre alla sua persistenza. Per lui piatti robusti, meglio se di carne. Segue l’ “Anniversario 62” Primitivo di Manduria Dop Riserva, anch’esso da vecchie vigne ad alberello, viene vinificato in barrique francese e americana utilizzando lieviti indigeni. Nel suo bouquet elegante, sulla frutta rossa si stagliano note speziate e tabacco da pipa dolce, tostature e vaniglia.
L’ultima visita e nella Cantina Produttori Vini Manduria (Ta), da suggerire vivamente agli appassionati che vogliano comprendere e quasi toccare con mano la tradizione della viticultura locale. Consorzio fondato nel 1932, riveste da sempre un ruolo fondamentale nella storia del Primitivo, di cui è stato l’iniziale punto di riferimento attraversandone tutta la storia, dall’impiego come vino da taglio fino alla scommessa sul suo potenziale in qualità. Il Consorzio comprende oggi 900 ettari di vigneto, coltivati in gran parte ad alberello dai 400 soci attuali. Oltre che nella produzione dei vini il sodalizio gioca un ruolo insostituibile di promozione culturale. Negli anni ha sviluppato una serie di iniziative e collaborazioni con gli enti istituzionali, curando anche la pubblicazione di una rivista sui temi identitari della zona e delle sue tradizioni storiche. Il Museo della Civiltà del Vino Primitivo, è un capolavoro che permette di entrare in contatto reale con l’essenza e la storia di questo vino. Situato nel sotterraneo della cantina, comprende una raccolta di attrezzature, oggetti d’uso comune e quant’altro, con ricostruzioni fedeli di ambienti del vivere quotidiano che vanno ben oltre le attività di vinificazione, trascinando lo spettatore fino alle radici della cultura contadina. La degustazione è prevalentemente in rosso, con due Primitivo di Manduria Dop. Il “Sonetto” da vigneti che arrivano ai 70 anni di età è vinificato in barrique, tanto frutto, nota balsamica accompagnata da sfumature minerali e speziate, morbidezza ed equilibrio. Segue “Elegia” da vigneti di 50 anni, anch’esso vinificato in barrique ma modulata in maniera differente, ciliegia carnosa che passa alla frutta matura, spezia dolce e vaniglia.
Il tour purtroppo finisce qui. Rimane positivamente l’approccio comunicativo del Consorzio, trasversale alle diverse Doc e con cui si propone di portare al pubblico la Puglia del vino nei suoi aspetti migliori. La formula associativa, andrebbe presa ad esempio da quelle realtà regionali e territoriali che non riescono a fare sistema. Troppo concentrate sul proprio orticello da non capire che comunicare il territorio nel suo insieme, come quadro di riferimento, rappresenta la chiave che permette di apprezzarne le singole peculiarità e trasformare la complessità diversificata in ricchezza.
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