di Bruno Fulco
Se c’è una zona vinicola di cui non si parla mai abbastanza questa è senza dubbio l’Irpinia, scrigno prezioso di vitigni autoctoni capaci di esprimersi su livelli qualitativi eccezionali. Gli appassionati conoscono bene le perle enologiche di questa zona benedetta da bacco, ma per diversi motivi la grande massa rimane ancora stupita quando qualcuno afferma che il Fiano è uno dei migliori vitigni d’Italia. I motivi della mancata valorizzazione che questa zona meriterebbe sono diversi: il ritardo sulla valorizzazione delle risorse del Sud rispetto al resto del paese è sicuramente uno di questi, motivo che fa il paio con una visione imprenditoriale che ha sempre visto nella produzione di massa la via più facile per un guadagno immediato.
Strategia che se da una parte è riuscita ad incrementare i volumi di vendita non ha però fatto breccia nel cuore della maggioranza dei consumatori, che spesso snobbano ancora vini come il Fiano, il Greco di Tufo e l’Aglianico. A farne le spese quei produttori, fortunatamente sempre di più, che cercano di dare a questi vitigni il risalto che meritano esprimendone la loro eccezionali potenzialità. I viticultori di “VITI” sono tra questi, l’acronimo sta per “Viticultori in Terra Irpina” ed è un associazione che riunisce Cantina del Barone, Cantina dell’Angelo e Il Cancelliere. Tre aziende per tre vitigni, ognuna ad alta specializzazione sulla tipologia coltivata. Denominatore comune la grande attenzione nel rappresentare il territorio e l’espressione qualitativa che il vitigno è in grado di raggiungere. Massima libertà al vitigno stesso di interpretare il territorio evidenziandone le peculiarità, poco importa se poi nel bicchiere i vini non riproducono lo stereotipo della loro tipologia. Vanno ben oltre, regalando personalità e autenticità che liberano la beva da ogni aspetto banale suscitando stupita approvazione.
La loro filosofia produttiva è volta al biologico, niente lieviti selezionati, niente effetti speciali, solo massima attenzione alle uve coltivate nella maniera più naturale. Nessun uso di solfiti nei rossi e vicini allo zero solo in alcuni bianchi. Viti anche centenarie che affondano le radici nel profondo, realizzando quell’impatto minerale che è il tratto distintivo di queste produzioni. In alcuni casi la presenza dei graspi verdi durante la pressatura delle uve rende il carattere dei bianchi unico nel suo genere. Un lavoro d’attenzione e passione per un vino identitario prodotto necessariamente in numero di bottiglie limitato. I Fiano della “Cantina del Barone”, Paòre e Particella 928, si lasciano alle spalle la frutta topicale della quale conservano solo il ricordo, dedicandosi al tratto minerale da cui affiorano lievi sentori floreali e di erbe aromatiche. In bocca grande freschezza e consistenza al palato, caratteristiche che aumentano in finezza nel secondo. “Cantine dell’Angelo” nel comune di Tufo, rende omaggio al vitigno che porta il territorio anche nel nome.
I due Greco di Tufo prodotti, entrambi Docg fanno della mineralità sulfurea la loro bandiera, completando il naso con la frutta matura e sfumature di fieno, erba essiccata e lieve floreale, soprattutto nel Torrefavale ottenuto dalle vigne più vecchie. In bocca spessore e gustosa acidità. Completa il lotto la batteria dell’Aglianico proposta dalla “Cantina il Cancelliere”. Vitigno di grande potenza, nel Gioviano rivela un progetto d’eleganza che il tempo realizzerà e che sopra al minerale, gioca con le spezie dolci e un frutto non invasivo in attesa di domare il tannino. Risultato già compiuto nel Nero Né Docg 2010 che si presenta arricchito delle note balsamiche e più complesso. Unione d’intenti riuscita quella di “VINI” che potrebbe anche chiamarsi “il territorio nel bicchiere”.
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