Ieri leggendo alcuni post su Facebook mi sono imbattuto in una “recensione” di una apprezzata giornalista gastronomica. Ciò che ho notato non sono state le sue parole ma, tra i tanti commenti sinceramente sciocchi, c’era la considerazione di una persona che invece probabilmente sottolineava nel modo giusto uno dei grandi mali della critica moderna, il linguaggio forzatamente sofisticato.
Ma anche l’eccessivo se non esclusivo parlare solo di un determinato tipo di ristorazione, quella stellata in primis, ha fatto perdere di vista alcune realtà che invece meritano una menzione ed ancora di più un elogio. Perché mentre noi critici ci perdiamo in sofismi relativi al “sentore di sottobosco” presente nel piatto di uno chef che porterà in tavola posate da centinaia di euro ma che al tempo stesso non riuscirà a far quadrare i conti, contemporaneamente un solido esercito di ristoratori da battaglia porta avanti con successo insegne che annoverano anni se non decenni di onorata militanza gastronomica.
Ed allora la domanda è solo una: perché non si parla di locali del genere? Perché non sono glamour? Perché non mettono nel piatto il caviale di pomodoro o la cialda al sentore di alici ipovedenti del Mar dell’ovvio? Può darsi, ma credo che una inversione di marcia sia utile se non necessaria, perché se non hai alle spalle il Sultano del Brunei difficilmente potrai far quadrare i conti con 6 coperti a sera. Ed allora va bene parlare di chi può fregiarsi della stella Michelin, ma al tempo steso a mio personale avviso si dovrebbe dar spazio anche a chi fa grandi numeri senza perdere di vista la qualità delle materie prime.
L’Osteria dell’Ingegno
La noiosa premessa è nata dopo una personale presa di coscienza, originata dalla scoperta della cucina dell’Osteria dell’Ingegno, locale che da 25 anni Giacomo Nitti gestisce con passione e competenza. La posizione su Piazza di Pietra è bella e suggestiva, la possibilità di pranzare in una giornata di finto ottobre e con l’affaccio sulle colonne del Tempio di Adriano è un regalo che tutti dovrebbero farsi. Gli spazi sono arredati con gusto, un riuscito gioco di cromie ed elementi che si integrano alla perfezione. Ma, sempre la premessa di cui prima, non deve fare pensare ad un locale di seconda fascia, anzi. Perché le persone che quotidianamente vi lavorano sanno valorizzare le materie prime ed accogliere i clienti nel modo giusto.
E quindi, dopo aver mandato a quel paese articoli patinati ed ipocrisie relazionali, ci si può immergere in una atmosfera rilassata e rilassante, in un pranzo la cui colonna sonora è costituita dall’allegro vociare di turisti e residenti, e la cui componente visiva è rappresentata da immagini in movimento della quotidianità capitolina con il suo intrecciarsi di risate e tensioni, rumori e silenzi, sorrisi e gesti.
La prova d’assaggio
Ah vero, c’è anche il cibo. Ricerca (non esasperata) e tradizione. Basi solide e idee chiare. La Misticanza di campo primizie di stagione e robiola di Roccaverano è fresca ed esplicita la qualità dei prodotti e la pregevole semplicità delle proposte. Le Polpette di Trippa sorprendono per l’inaspettata leggerezza, ed avrebbero bisogno di un pizzico di sapidità in più per divenire davvero irresistibili. I Ravioli ripieni di ricotta ed erbette, saltati al burro e salvia sono golosi e consentono di apprezzare la qualità della pasta fatta in casa; unico appunto il sapore della ricotta forse poco intenso. I Tonnarelli Cacio e Pepe hanno più di un punto di forza: la fattura e cottura della pasta (anche questa fatta in casa) e la cremosità che porta a mangiarli voracemente.
Il Pollo con i peperoni è probabilmente il piatto del giorno, per la consistenza e l’umidità della carne, per la dolcezza dei peperoni, per il sugo che obbliga a fare una prolungata scarpetta. La chiusura, per chi legge le mie recensioni, è quasi scontata: prima dei titoli di coda infatti devo necessariamente provare il Tiramisù, che questa volta si fa apprezzare per presentazione (in una elegante tazza), leggerezza della crema e giusta bagna dei savoiardi.
Un pranzo piacevole in un bel posto, un momento da dedicarsi gustando buon cibo. I riconoscibili sapori della tradizione ed un pizzico di ricerca che non gusta mai. Quindi viva le stelle (Michelin), ma viva anche tutto il resto del firmamento!
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