Mi capita da sempre, da napoletano, di ascoltare vari stereotipi su quanto accade nella mia città d’origine e/o sulle abitudini dei miei concittadini. Al netto (sono obiettivo su questo punto) degli evidenti problemi che contraddistinguono alcuni ambiti del capoluogo campano, è anche vero che spesso si creano vere e proprie leggende originate da un singolo episodio negativo. Tutto ciò mi è tornato in mente quando sono stato ad Ostia per pranzare nel ristorante “Red Fish”: scambiando due chiacchiere con il proprietario e con lo chef ho riscontrato che, anche in questo caso al netto di alcuni tristi e recenti episodi di cronaca, si è diffusa la convinzione che quella parte del litorale laziale sia estremamente pericolosa. Tale è l’intensità di questa voce che sembra possa esserci quasi qualcosa di studiato a tavolino, perché il mio personale riscontro (nelle varie occasioni in cui sono stato da quelle parti) è che ad Ostia si possa star bene.
Dopo questa doverosa introduzione, parlo di ciò che mi è più consono, e quindi di cibo. Il Red Fish si trova su una parallela del lungomare, nella inusuale posizione al primo piano di uno stabile, scelta che però conferisce al locale un carattere particolare: la sala arredata con gusto consente attraverso la lunga vetrata di osservare “la vita” che scorre in strada, lontani da occhi indiscreti e nella sensazione di poter vivere in grande intimità la personale esperienza gastronomica. Lo chef Antonio Gentile, di origini campane, ha soli 30 anni ma già tante esperienze di prestigio, da quelle in Costiera al periodo con Francesco Apreda, sino all’ultimo impiego presso il ristorante londinese di Heinz Beck.
Il menu è estremamente interessante, con piatti a base di carne e di pesce, e richiama le origini di Gentile attraverso alcuni classici sapori, dai friarielli alla genovese, passando per i taralli e le vongole. Il benvenuto è un saporito esercizio di stile e di consistenze tra chips, arancini, pasta soffiata e crackers, ed introduce la prima portata, le “Sfumature d’Azzurro” (sgombro marinato con cremoso di melanzane, caprino, pomodori infornati e fumo di ciliegio), un piatto molto bello da vedere e che non delude le aspettative del palato al momento dell’assaggio. L’Arrosto di seppia con crema di vongole e agretti, l’assaggio successivo, colpisce per il gioco tra ravanello e rapa rossa e per l’abbinamento tra sapori di terra e di mare, perfettamente integrati ed in equilibrio. Gli antipasti si chiudono con “Il Carciofo Gentile” (Carciofo alla romana, crudo di gambero bianco e zafferano), altra idea che può sembrare azzardata ma che invece trova un senso nella dolcezza del crostaceo che accompagna la nota amara del vegetale, e con la “Capasanta con patata bruciata e liquirizia”, nella quale si nota in modo esplicito l’ottima cottura dell’ingrediente principale.
La panoramica sui primi piatti è un esaltante viaggio attraverso varie formati, pasta secca e fresca, abbinamenti classici o innovativi, il tutto con la tradizione quale punto di partenza. Lo Spaghettone “Napoli” con friarielli, alici di Cetara, provolone del Monaco e tarallo napoletano crea immediatamente dipendenza grazie al suo bouquet di aromi e sapori, il “Mari & Monti” (tubettone cotto in acqua di pomodoro con guanciale, lupini di mare, scampi e porcini) è un piatto confortante, quasi una zuppa che nasconde però alcune insidie a causa della presenza di molti elementi molto differenti per caratteristiche organolettiche. I “Ravioli di stufato di manzo alla Genovese con birra e parmigiano” sono una grande eredità del periodo londinese (“ho trascorso due anni a fare cappellacci tutti i giorni” ama ricordare lo chef): lo spessore della pasta è perfetto come la cottura, un ripieno per sua natura aggressivo è addomesticato per un risultato finale di grande delicatezza. Il vino che accompagna gli antipasti e i primi (fino al Mare & Monti) è l’ottimo “Oi Nì” della Tenuta Scuotto (un Fiano 100% da 14,5 gradi, caratterizzato dai 12 mesi trascorsi in botti ovali).
Il passaggio ai secondi è segnato da un’altra sorpresa: la “Terrina di coniglio con il suo fondo, nocciole e gelato al foie-gras” (in realtà un antipasto in carta) regala lo stupore del gelato al foie gras, che grazie ad una sapiente lavorazione si fa apprezzare per consistenza e sapore, meno intenso della classica scaloppa, ma che rende armonioso il piatto. La “Guancia di manzo piemontese con polenta fritta e melograno” chiude nel migliore dei modi la lunga carrellata di piatti che ha illustrato la filosofia culinaria di Antonio Gentile. Per la seconda parte del pranzo il vino che ha accompagnato le pietanze è stato il “Maso Montalto” delle Tenute Lunelli, un Pinot Nero in purezza con sentori di mora, amarena, ciliegia e legno. Nella cucina del Red Fish i dolci sono affidati a Federica Valleriani e la pastry chef ci ha proposto “la Brownies” (torta al cioccolato, mousse di cioccolato bianco con zuppetta di agrumi e zenzero), dessert molto elegante che grazie alla zuppetta di agrumi e zenzero acquista una piacevole freschezza.
Un pranzo così piacevole da farmi perdere il senso del tempo, un percorso attraverso tecniche e sapori che mi ha permesso di scoprire il talento di Antonio Gentile e di farmi capire che Ostia non è solo la frittura vista mare ma anche tanto altro, a partire proprio dal Red Fish.
Red Fish
Corso Duca di Genova, 22 (1° piano)
00121 Ostia (Roma)
Tel. 0645470650
(chiuso il mercoledì)
Lascia un commento